Covid: In che modo Giappone, Corea e Australia hanno eliminato l’infezione da zero

Questi numeri ti fanno pensare. La seconda ondata di Kovid mette in ginocchio tutto l’Occidente con numeri allarmanti. Un bollettino giornaliero che vede la curva di contagio in crescita costante e vertiginosa. D’altra parte, dall’altra parte del mondo, la pandemia sta registrando numeri sempre più piccoli – diverse decine o centinaia di casi al giorno.

Questo sta accadendo in Estremo Oriente. Dopo le dure misure prese la scorsa primavera, oggi vive come in una bolla, protetto da nuove emergenze con il coronavirus. Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Singapore, Thailandia, ma anche Australia e Nuova Zelanda stanno registrando piccoli numeri.

Il Giappone riporta meno di 700 casi, solo 61 in Corea del Sud con zero morti. In Thailandia, dove secondo le statistiche ufficiali il virus ha smesso di circolare, ci sono cinque nuovi pazienti. Lo stesso numero di casi in tutta l’Australia e solo uno in Nuova Zelanda. Eppure il virus sta ancora circolando in Asia. Ciò dimostra la situazione in India, Malesia, Bangladesh, Indonesia, più vicina agli europei che ai giapponesi, secondoeuropeo Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie. Cosa hanno fatto questi paesi per poter limitare il numero di casi? Maschere, tracciamento, tecnologia e chiusura, a colpo d’occhio. Ma entriamo nei dettagli.

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Giappone: meno di 700 casi e 5 morti
Ieri, Tokyo ha registrato 699 casi e 5 morti, in costante calo da un picco di duemila al giorno ad agosto, secondo il sito dell’OMS. I professionisti medici giapponesi hanno utilizzato il “monitoraggio retrospettivo”, monitorando i movimenti di un paziente molto prima dell’infezione. Oltre all’utilizzo di maschere (un’abitudine che ha messo radici in questo Paese molto prima dello shock Covid 2020), le autorità hanno eliminato o limitato situazioni ad alto rischio come spazi chiusi, affollati, contatti stretti, affidandosi alla tecnologia dell’informazione e all’intelligenza artificiale. In breve, la mappatura e la transizione dei dati sono state fondamentali. Ma la tecnologia si è rivelata anche un supporto indispensabile per la pratica dei test rapidi salivari e degli anticorpi.

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Corea: monitoraggio e big data
In Corea del Sud, dove la situazione era inizialmente molto grave, soprattutto nelle grandi aree urbane di Seoul e Daegu, forte digitalizzazione e big data sono considerati la chiave del successo nella lotta al coronavirus. La politica di tracciamento non ha risparmiato feed sfogliando tutto e tutti. Ad esempio? Utilizzo di app per smartphone, nonché raccolta di dati “a strascico” tramite “impronte” lasciate da carte di credito o immagini da videocamere in luoghi pubblici.

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Australia: Melbourne 112 giorni isolati

L’Australia, nonostante abbia attraversato tempi difficili oggi, ha quasi zero morti. Melbourne, la seconda città più grande dell’Australia, dove è stato stimato il 90% dei 905 decessi per coronavirus, è ora uscito a causa di un blocco prolungato che è durato più di 112 giorni. La strada scelta dalle autorità è stata quella di completare la chiusura, come in Nuova Zelanda. Inoltre a nessuno era permesso entrare o uscire dalla regione, se non per motivi di stretta necessità. Un intervento molto radicale, ma che ha immediatamente limitato la diffusione della malattia. Il Paese ha inoltre imposto una rigorosa quarantena per chi proviene dall’estero.

Cina, visualizzazione in massa
Lo schema, sviluppato da Pechino, si concentra anche sull’intelligenza artificiale e sui big data. La vigilanza delle autorità sanitarie cinesi è massimizzata per evitare una terribile seconda ondata, quindi sono in corso prove approfondite. Oggi, nello Xinjiang, nel nord-ovest della Cina, il campionamento viene condotto su oltre 4,7 milioni di residenti nel distretto di Kashgar. Screening di massa che ha evidenziato altri 26 sintomi, portando il totale a 164.

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